Se penso a una libreria spagnola, mi viene in mente un insieme di librerie strette, alte e polverose. Mi vengono in mente libri di seconda mano, librai o con gli occhiali e la catenina dietro ad un bancone altissimo, di legno scadente, con un libro in mano. Mi vengono in mente calcolatrici degli anni ottanta, rotoli di carta bianca e scontrini con inchiostro chiaro. E soprattutto, mi vengono in mente chilometri (in altezza) di scaffali pieni di libri. Qualsiasi tipo di libro, qualsiasi autore e romanzo, libri vecchi e nuovi, il mare immenso del già scritto. La meraviglia è che non ti senti rispondere che non lo editano più o che non lo troverai mai (“è un libro vecchio, del 2005...”). Però mi vengono in mente anche librerie con libri di prima mano, che sì, esistono: il libraio ha sempre gli occhiali e un libro in mano, anche se il negozio si estende in lunghezza. Ho cercato libri di autori italiani e li ho trovati, in traduzione; ho trovato Hugo Pratt e Alfieri nella stessa mensola. Le librerie spagnole mi sembrano più creative e meno organizzate – meno pensate, che sia un pregio o un difetto, lo giudichi ognuno. Il fatto è che se chiedi al libraio, sa cosa gli chiedi anche se non ce l’ha in libreria. Chiaramente esistono librerie pseudo-moderne, open space, con computer e casse tipo supermercato... ma la situazione è di equilibrio fra un tipo e l’altro. Per lo meno dove mi trovo, senza escludere che potrebbe essere un’isola felice.
Se penso a una libreria italiana, invece, mi viene in mente la Feltrinelli sotto le due torri, a Bologna. Una libreria con tutto quello che si può cercare, dall’informatica all’arte alla storia alle tecniche di meditazione orientale. Una libreria con molta luce (artificiale) e scaffali che si muovono, librai con cartellini rossi, un’uscita e un’entrata non intercambiabili – se no rubi, come faceva Giangiacomo. Una cassa avanguardistica, una fila avanguardistica, buoni punto, tessere blu e i classici latini alla destra dell’uscita, anche un po’ dopo del metal‑detector, perché quelli rubateli (rubàteli o rùbateli), che tanto non li compra nessuno. Non mi è mai sembrata una libreria, in realtà, ha sempre avuto l’aria di un supermercato del sapere... e i librai – a parte un certo signore coi baffi – erano commessi. Non credo che un libraio debba saper far altro se non leggere. E non avevano quei commessi e commesse facce da lettori. Da librai. Mi sembrava che si limitassero a conoscere la posizione dei libri negli scaffali, cosa che conosevo anche io dopo un mese di frequentazione. Mi viene in mente questa libreria in particolare perché a bologna ruba la scena, con sua sorella International, alle altre librerie, che si dedicano perloppiù al commercio di testi universitari specifici. Niente romanzi, ma il mare infinito dei manuali. Tutte – eccezion fatta ovviamente per Labyrinthos, meglio conosciuta come Il Greco o la Libreria di Via Delle Moline. Con quel signore greco (fatto che ha la sua intrinseca importanza) che non vede niente (altro fatto di importanza letteraria non indifferente) e che ti porta dove è il libro che cerchi ma ti dice di prenderlo tu perché lui non lo vede. Cerca le mille edizioni di un libro in un catalogo scritto piccolissimo che fra i librai tira fuori solo lui, e soprattutto legge solo lui – non si sa come perché ha gli occhiali grossi quanto il catalogo stesso. Che, opinione personale, sono finti: secondo me è propio cieco. Il signor Labyrinthos è un po’ come il libraio della Storia Infinita: alla fine esci da là col libro che voleva lui.
E non c’è nessuna conclusione. Anzi si: siccome qui comando io, son più belle le librerie di qua che d’italia. Ecco!